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domenica 3 novembre 2013

I Santi a modo mio

 
 
Persone di cui m’è giunta felice notizia perlopiù sono i Santi che oggi s’affollano nella mia mente già oberata, liberandola un po’ dalle nubi di polvere con una ventata d’aria fresca di tonache, aureole e sorrisi. Il paradiso è un posto affollato dove il party non finisce mai!
Ma con calma, e sicuramente con qualche imprecisione, vi presento i Santi che un poco ho conosciuto: per prima la più piccola, la ragazza avventurosa cui ho affidato mia figlia Aurora, Santa Teresina del Bambin Gesù, il terremoto di Lisieux. A quindici anni trovò il modo addirittura di farsi ricevere dal Papa al fine di rompergli le scatole perché le permettesse di entrare in convento prima dei diciotto anni canonici. Una forza della natura costei! E lì dentro non si è fermata, ha amato la missione e tanto ha seguito, anzi perseguitato con le sue preghiere i missionari, che è divenuta la loro protettrice, lei che non si è mai mossa dal suo convento. Quanto ha potuto studiare con una storia come la sua? eppure, lì nella sua stanza dove con lietezza e ardore pregava senza sosta, ha scritto cose talmente grandi che l’hanno fatta Dottore della Chiesa. Sense of humor, sorriso e intelligenza così acuta e realistica... insomma per mia figlia ho voluto il meglio.
San Riccardo Pampuri è colui al quale affidai mio figlio quando, a pochi giorni dalla nascita, si scoprì avere un batterio che avrebbe potuto avere conseguenze gravi di tipo neurologico, e invece no! (Daniele RICCARDO Maria si chiama infatti mio figlio). Riccardo era un medico, preciso, appassionato del benessere dei pazienti, sarebbe stato un medico condotto, era questo che voleva, quando il signore lo afferrò. Divenne prete e, date le sue competenze, lo affiancarono come inserviente di un frate che faceva il dentista, se non mi sbaglio. Una mansione mortificante per un medico, ma lui accettò tutto. Una sua frase la tengo attaccata alla cappa della cucina “Pensare sempre e solo al Signore, lasciando che Egli pensi a noi”. Quando cucino e il mio pensiero corre agli affanni e ai casini, quella frase mi fa respirare. San Riccardo aveva capito che i deliri di onnipotenza e le manie di controllo, tipici di manager e casalinghe, sono una solenne bufala e che il sentiero faticoso che porta verso l’alto ti offre un panorama di consapevolezza che il tentativo di sistemare ogni sasso al suo esatto posto non ti darà mai. Virile, paziente, dolce come auguro di essere a ciascun uomo.
Santa Rita. Le ha passate tutte: tutte le fatiche, quella del marito stronzo, quella dei figli difficili, quella delle consorelle pesantucce (forse, che questo non lo so, ma ci sono sempre consorelle pesantucce, secondo me), quella dei parenti in lite... E ditemi voi se questi non sono i sempiterni problemi di noi donne. E lei aveva le palle. E un amore, bruciante, appassionato, sottile e denso come il sangue che scorre finché Dio vuole. Questa passione divorante per un Altro, non era un tradimento, ma l’ottimo motivo per starci, a tutto, qualsiasi fossero le condizioni date, fino alla fine, fino alle rughe e alla stanchezza. Respirare, camminare, alzarsi la mattina per quell’innamoramento senza requie: la sua vita, finché qualcuno non ha deciso che era arrivato il momento di invitarla alla festa, al party esaltante dove le cose le vedi per quello che sono, quelle passate e quelle future, mentre nel presente sei più viva e attiva di prima, con tutta la gente che ha bisogno: altro che buen retiro.
Sant’Antonio. E voi direte, vabbè, è il tuo santo. Sì ma il punto è che lui è una spina nel fianco per me. M’è capitato un santo in fondo così diverso da come sono io! Sapete perché mi chiamo come mi chiamo? Perché papà mio, diciottenne in partenza per la Seconda Guerra mondiale, gli fece voto che se fosse tornato vivo da quell’avventura un figlio o una figlia l’avrebbe chiamato Antonello o Antonella (E non Antonia, che lui era di gusti fighi). E così davanti alla sua statua, nella mia parrocchia d’origine, guardavo il suo volto bello di ragazzo, gli affidavo mio padre – visto che già aveva funzionato in passato – e mi sentivo una schifezza. Sì, perché Sant’Antonio era (è) un puro, un’anima candida, uno di quelli che oggi i bulli e i furbastri li fanno a pezzettini. Ma lui sereno era in una botte di ferro, perché sì, le persone così Gesù le adora: quelle semplici (non stupide, ma magari anche, che: che fa??), ma talmente buone e dolci, come un capretto da latte, che sono capaci di affidarsi a Dio come nessuno. E io invece, io non sono così. Mai troppo candida e proprio mai semplice, ho desiderato quella purezza sempre, amandola e guardandola di sottecchi come un frutto proibito. Che forse, però, basta desiderarla, via, che il Signore lo sa. Però, capite che sballo? Sei talmente dolce e semplice che Gesù Bambino ti tira la tonaca e vuole essere preso in braccio, daiiii! Che invidia.
Una breve menzione per San Camillo de Lellis. Gran figo secondo me, perché era un mercenario prima che Dio lo tirasse per i capelli. Un mercenario!! Ammazzava la gente di mestiere. Della serie: Gesù è uno fuori dagli schemi, soprattutto lo esasperano quelli moralistici di chi dice: “Oh, ma vedi? se la fa con quella gente lì!!!” Là dove il male aveva scavato solchi, Gesù è sempre andato a distribuire la sua linfa. I santi sono innamorati, infuocati, a volte irruenti, ma mai, MAI tiepidi, che se l’ospite del party ha sulle scatole qualcuno, quelli sono i tiepidi, quelli che non si scaldano per nessun motivo, i mosci! Invece fra gli irruenti qualche cazzata scappa, e i Santi non sono quelli che non ne hanno fatte di cazzate, ma quelli che, piangendo, sapevano da chi correre dopo.
L’ultimo non è esattamente un santo, ma un Principe. La sua festa non è oggi, tecnicamente, ma sta lì lo stesso al party, come John Wayne nel saloon dei film western, con calma pacata a tutto osservare e un sorriso ben nascosto. San Michele è un vero uomo. Sebbene non lo sia, perché è un angelo, anzi un Arcangelo, uno dei capi. Uno armato, che interviene perché odia quello stronzo che inquina ogni nostro buon pensiero, ogni nobile intenzione, che ci insinua il dubbio sull’amore che la gente ci porta, che ci fa vedere la menzogna anche dove non c’è e che ci ispira a concepirla, provando gusto a trasformarci in una parodia triste e delusa di noi stessi. C’è bisogno di eroi e San Michele Arcangelo guarda in faccia Dio e corre se lo chiami. Un protettore, un guerriero e uno di quelli che combatte per il fine migliore. Mi piace: dichiarazione d’amore per San Michele Arcangelo. Che poi ci ha frequentato spesso, lasciando luoghi che profumano di una dimensione altra, di aria pura e rarefatta, infiammata di visione. Le porte del cielo.
Di santi ce ne sono un sacco, ma tanti, grazie a Dio! Santi nascosti anche, santi per un sospiro, per un nome pronunciato con l’ultimo fiato, santi che si sono fatti tutta la trafila per purificarsi di tutto il non-amore vissuto. Alla fine i puri e i purificati stanno tutti insieme e sanno le cose come noi possiamo solo supporle o sperarle. Santi stranoti e santi che solo Dio ha conosciuto per tali, la Maddalena e Gianna Beretta Molla, san Filippo Neri e san Pietro, san Luigi di Francia, il ladrone crocifisso con Gesù e santa Teresa d’Avila. Un party immenso, corale, democratico, allegro e smodato.
Insomma, io ci voglio andare. Dici: prima devi invecchiare e morire … E ok, a me proprio non piace vincere facile, e poi vuoi mettere lo sballo nel frattempo?!
Antonella Albano

martedì 1 ottobre 2013

Santa Teresa di Gesù Bambino

Cosa si può dire di una giovane donna, appena ventiquattrenne, morta tra atroci sofferenze?
Cosa si può dire se questa donna trascorse gli ultimi nove anni di vita nella stretta clausura di un monastero, rinunciando a tutte quelle cose che per molti sono le sole ragioni di vita?
Per la logica del mondo Teresa Martin, spirata alle 19,20 del 30 settembre 1897 nel Carmelo di Lisieux, è una perdente, una creatura da compiangere, morta giovane senza aver conosciuto" le delizie" della vita, morta su un pagliericcio che le faceva da letto, dopo aver abbandonato l'agiata casa paterna dove era nata e dove nulla dei beni terreni le poteva mancare.
Ciò che per chi non crede è dolore per il credente è gioia e promessa di gioie più grandi.
Ciò che per il non credente ( e per tanti sedicenti credenti) è vita, risulta morte e morte eterna nella logica e nella giustizia divina.

Quinta figlia di Zelia Guarin e Luigi Martin, Teresa  Francesca Maria nacque il 2 gennaio 1873, ad Alecon, in Francia, in una tranquilla e benestante famiglia della borghesia di provincia; il padre era orologiaio, la madre merlettaia, entrambe i genitori, oggi Beati, in gioventù avevano desiderato abbracciare la vita religiosa, trovando però nella vita coniugale alla quale Dio li aveva destinati, la loro vocazione alla santità .
L'infanzia  di Teresa fu segnata dal terribile dolore della morte della madre, consumata da un male incurabile quando la piccola aveva appena quattro anni.
Il dolore del distacco dalla figura materna tornò prepotentemente a ripetersi nella vita della bambina.
 Teresa, a nove anni subì il distacco dalla sorella Paolina, da lei scelta come seconda madre, la giovane lasciò la casa paterna per seguire la sua vocazione religiosa, entrando nel monastero delle Carmelitane di Lisieux, paese dove, nel frattempo, si era trasferita la famiglia; poco tempo dopo anche la sorella Maria, lasciava la famiglia per abbracciare la vita religiosa nel Carmelo.
Quel Dio che sembrava volerle togliere i suoi più cari affetti terreni, era  comunque l'oggetto di un amore e di una fiducia incrollabile da parte di Teresa, nata e cresciuta in una famiglia realmente cristiana, capace di educare a seguire il Vangelo più con l'esempio che con le parole.

Nel 1883 Teresa si ammalò gravemente, probabilmente di una malattia psicosomatica,
frutto delle sofferenze e delle forti emozioni che avevano già scosso la sua giovane vita; giunta in punto di morte venne miracolosamente guarita dalla B.Vergine delle Vittorie.

Nel maggio 1884 ricevette la Prima Comunione, vissuta come una forte esperienza di Grazia e di unione con Dio, intensificata dall'ammissione al sacramento della Cresima, ricevuta il 14 giugno dello stesso anno.
L'amore per Dio, il vivo desiderio di salvare le anime per Lui, divennero i sentimenti
imperanti nell'anima della ragazzina, che avvertiva sempre più distintamente la voce del suo Signore che la chiamava alla donazione di sé nella vita religiosa.
Per Teresa, come per Paolo, non vi era più che Cristo e Cristo Crocifisso.

Il desiderio della giovane di abbracciare la vita religiosa  non va confuso con il desiderio di ritrovare in monastero le sue sorelle maggiori monacatesi, Teresa sapeva bene che dentro il monastero le relazioni non potevano più avere il medesimo carattere di quelle intrattenute nel mondo, anche qualora si ritrovassero tra quelle mura, familiari o parenti.
Teresa voleva entrare in monastero solo per amare e donare la sua vita a quel Dio che per lei, come per ogni altra anima, aveva donato la sua.
La decisione di abbracciare la vita religiosa non fu ostacolata dal religiosissimo genitore , tuttavia era di ostacolo la giovanissima età della ragazza, non era  infatti possibile che una quattordicenne venisse accettata in monastero.

La chiamata divina era così pressante che la ragazzina arrivò a gettarsi ai piedi del Papa, chiedendo il suo consenso per l'anticipata ammissione al monastero, creando con il suo gesto, non poco sbigottimento e persino scandalo tra i pellegrini francesi con i quali aveva intrapreso un viaggio-pellegrinaggio in Italia che culminava con l'udienza da Papa Leone XIII.
Pur senza lo sperato intervento papale, le monache carmelitane di Lisieux accettarono ,infine, le pressanti richieste della giovanissima aspirante, ed ottenuto il permesso vescovile, Teresa Martin varcò la soglia della clausura appena quindicenne, il 9 aprile 1888, venendo ammessa alla Vestizione il 10 gennaio 1889 ed alla Professione Religiosa l'8 settembre 1890, divenendo suor Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo, nome che sintetizzava tutto il mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio, fattosi uomo per morire in croce.
Teresa, seppure quindicenne al momento dell'ingresso in monastero, possedeva già una solida maturità spirituale, frutto dell'educazione ricevuta e del cammino spirituale che aveva intrapreso seppur giovanissima, conducendola in breve ad una intima comunione con Dio.

Entrata tra le Carmelitane Scalze il suo ardente desiderio di vivere la Parola di Dio e giungere alla perfezione nella Carità fu guidato da Madre Genoveffa, fondatrice del Carmelo di Lisieux, che seppe orientarla a quel cammino spirituale di fedeltà nelle piccole cose e confidenza  in Dio che poi diverranno i pilastri della " Piccola Via".
I primi anni della tanto sospirata vita monastica  furono anni di dura prova per Teresa che, oltre ad adattarsi al tipo di vita claustrale ed alle sue rigide discipline, visse dalla clausura il dolore della lenta agonia dell' amato padre che, assistito dalle figlie Leonia e Celine, si spense il 29 giugno 1894.
Nel dolore della perdita paterna, Teresa seppe bere l'amaro calice dell'altrui cattiveria, infatti non poche " anime pie" la accusarono di aver provocato, con il suo ingresso in monastero , la malattia mentale e la morte del padre.

Dopo tanta amarezza  ricevette la gioia di poter accogliere nel monastero l'amata sorella Celine, la sua compagna di giochi, che rispondeva anch'essa alla chiamata divina,  donando la vita al Signore. Grazie alla passione per la fotografia di Celine Martin, oggi si possono ammirare le foto che ritraggono Teresa nel Carmelo di Lisieux.
Dal 1893 alla giovane monaca era stato affidato l'ufficio di Maestra delle Novizie, ufficio che la mise in condizione di comunicare alle aspiranti monache il suo cammino di perfezione fatto del non aspirare a cose grandi ed impossibili, ma nel trasformare anche le più piccole azioni in atti di amore offerti a Dio, " Dio si compiace dei piccoli" soleva ripetere, ed il riconoscimento della propria piccolezza e delle svuotamento di sé era il primo passo del cammino intrapreso da Teresa e comunicato alle giovani che si avviavano alla vita religiosa.
Desiderosa di servire Dio in ogni mansione, anche quelle che la clausura e il suo essere donna le precludevano, comprese che vi era un mezzo capace di distrugge ogni difficoltà o barriera e trasportare nel cuore stesso del Mistero Cristiano: la Carità.
Il suo desiderio era divenuto il comunicare a tutto il mondo che il centro della vita Cristiana è la Carità, senza la quale non si muovono le altre membra della Chiesa, avvertì che era proprio questo il fine della sua vita, con S.Paolo comprese che che senza questo motore si spegnerebbe la Chiesa, di conseguenza amare, vivere d'amore, iniettava linfa vitale a tutte le membra del Corpo Mistico di Cristo, rendendola partecipe della salvezza delle anime, delle conversioni, delle vocazioni, delle predicazioni, della missione, così potè esclamare:
" NEL CUORE DELLA CHIESA MIA MADRE, IO SARO' L'AMORE COSI' SARO' TUTTO!".

Teresa comprendendo il primato della Carità quale motore della Chiesa, aveva compreso e fatto suo uno dei Misteri fondamentali del credente, la PATERNITA' di DIO, in un'epoca in cui la fede e la devozione era intrisa di Giansenismo, e si tendeva ancora a presentare la Maestà Divina pronta a scagliare i suoi dardi sull'umanità peccatrice, lei aveva accolto in pieno il messaggio evangelico,
rilevando il dono divino della Misericordia, verso i piccoli ed i peccatori, come centro della dinamica della carità tra Dio e l'uomo.
Tale consapevolezza la portò ad offrirsi vittima alla Divina Misericordia, per la salvezza delle anime.
Teresa, che durante la sua breve vita non aveva mai avuto dubbi su quella fede alla quale era stata educata sin dalla tenerissima infanzia, non riusciva realmente a comprendere che vi fossero uomini che erano privi di tale dono, nel suo immenso amore per Dio e per il prossimo, voleva "SEDERSI ALLA TAVOLA DEI PECCATORI", voleva soffrire la disperazione e la solitudine di chi è privo di Dio, per salvare quelle anime e ricondurle all'Amore del Padre.
Dio esaudì prestissimo l'ardente desiderio di questa sua giovanissima sposa, la notte del Venerdì Santo del 1896, Teresa ebbe la sua prima emottisi, segno di quel " mal sottile" , all'epoca tanto diffuso, che aveva già cominciato a minare il suo fisico.

Comprese subito che il Signore, ancora una volta, stava per esaudire il suo desiderio di immolarsi con Lui per le anime, tuttavia la strada del Cielo e dei beni eterni che Teresa aveva sempre agognato e quasi già posseduto nel vivere la sua fede, si oscurò improvvisamente.
Dio e Teresa si erano sempre parlati e capiti perfettamente, Teresa non desiderava andare in Cielo ancora così giovane, per godersi il meritato riposo nella beatitudine eterna;  quando  si era offerta all'Amore Misericordioso, era arrivata ad esclamare che avrebbe desiderato andare all'inferno, "luogo" dell'assoluta assenza di Dio, perchè Egli fosse stato amato anche in quella tenebra; nel momento in cui iniziava il cammino finale della sua breve vita, quelle tenebre sembravano che fossero giunte a lei, avvolgendola e privandola della consolante certezza dell'esistenza beata dopo questa vita.

Chi conosce gli scritti di un altro grande mistico Carmelitano, Dottore della Chiesa, S.Giovanni della Croce, non proverà stupore leggendo la terribile prova spirituale nella quale si ritrovò immersa la giovane monaca; la Notte Oscura dell'anima, magistralmente cantata dal santo spagnolo, era ciò che stava vivendo la piccola monaca di Lisieux.
La purificazione passiva di un'anima è compito solamente divino, Teresa si ritrovò dinnanzi alla morte, credendo ed amando Dio, ma senza più la consolante certezza del Paradiso che l'attendeva.
La battaglia spirituale nella quale Dio l'aveva immersa, servì a Teresa per offrire questo vero supplizio per le anime dei non credenti, tormentata nel corpo e nell'anima, sedeva, come aveva desiderato, alla tavola dei peccatori, mangiando il pane del loro reale non credere, per farsi loro sorella nella salvezza.
Scriveva Teresa a P.Maurizio Belliere, missionario di cui era divenuta " sorella spirituale" una frase che racchiudeva la sua ferma volontà di credere anche se priva della consolazione del credere: " Io non muoio, io entro nella vita".

Credere senza più alcuna consolazione di fede ed amare quel Dio che sembrava volerle negare anche una minima tregua nell' ultima battaglia spirituale, consumarono la piccola Teresa, che si spense dopo una lunga e sofferta agonia pronunciando le parole: " Mio Dio vi amo. Io l'amo!", la brevissima estasi degli istanti precedenti al trapasso, trasfigurarono le sembianze della monaca, donandole da morta una bellezza celestiale non posseduta in vita.
I diari che Teresa aveva scritto in monastero per precisa imposizione delle sue dirette superiore, vennero fatti pubblicare un anno dopo la sua morte per far conoscere ai fedeli la vita di una claustrale che nella semplicità e nel nascondimento, aveva donato la sua vita a Dio ed al prossimo; probabilmente neppure le monache di Lisieux avrebbero potuto immaginare quale " uragano di gloria" si sarebbe scatenato attorno a suor Teresa di Gesù Bambino.
Nel solo primo anno dalla pubblicazione vennero vendute circa un milione di copie del libro intitolato " Storia di un'anima".

Beatificata nel 1923, Papa Pio XI canonizzò Teresa di Lisieux il 17 maggio 1925, e due anni dopo, la proclamò Patrona universale delle Missioni unitamente a S.Francesco Saverio.
Nel centenario della morte Papa Giovanni Paolo II ha proclamato la giovane santa carmelitana,  Dottore della Chiesa, indicando nella " Piccola Via" di fiducia e filiale abbandono a Dio, la strada maestra della salvezza annunciata dal Vangelo.

martedì 16 luglio 2013

Preghiera alla Madonna del Carmine

 
Fior del Carmelo,
o vite in fiore,
splendore del cielo,
tu solamente sei Vergine e Madre.
Madre mite
e intemerata,
...
sii propizia ai tuoi devoti,
stella del mare".
 
 
Povero pellegrino su questa terra di esilio, per dura e continua lotta scoraggiato e stanco, oppresso da affanni e croci, col cuore straziato da tante amarezze, versando lacrime ai vostri piedi, esclamo e grido: Oh Beata Vergine del Carmelo, ricordati di me!
Per quel benedetto e santo Abito che Voi mi porgeste e che io bacio e stringo al mio petto, su di me volgete gli occhi vostri! Salvate l'anima mia e quella dei miei cari, ed ecco tutto!
Io sarò felice, o Madre mia, io sarò felice se questa mia preghiera sarà da Voi benignamente accolta, come fermamente lo spero, per questo santo Abito che porto e porterò sempre, e che bacerò morendo in terra, garanzia di felicità eterna in Cielo.
Così sia.

venerdì 21 giugno 2013

La Madonna dei Miracoli


21 giugno : Madonna dei Miracoli di Alcamo.

 La tradizione racconta che alcune donne mentre lavavano i panni presso il torrente a nord della città di Alcamo (TP), furono colpite ripetutamente da una raffica di pietre, ma rimasero illese. Subito dopo degli uomini andarono sul luogo per vedere cosa fosse successo e lì vi trovarono l’icona della Vergine nascosta tra le macerie di una piccola cappella. Nei giorni seguenti si susseguirono diversi miracoli. Da allora (1547) ad Alcamo si venera la Madonna dei Miracoli, che ancor oggi si festeggia con pittoresche scenografie ed interessanti manifestazioni di devozione popolare.
 

lunedì 25 marzo 2013

Misteri della Settimana Santa

Solo con il cuore arrivi a conoscere Dio.
S. Agostino
 
Cos'è la Settimana Santa?La Settimana Santa è la settimana nella quale i Cristiani celebrano gli eventi di fede correlati agli ultimi giorni di Gesù, comprendenti in particolare la sua passione, morte e resurrezione.
Comprende il periodo, da Domenica delle Palme al Sabato Santo, che precede la Pasqua, cioè la domenica in cui si ricorda la Resurrezione dai morti di Gesù Cristo. La Pasqua è la massima solennità della fede cristiana e ogni anno si celebra la prima domenica di luna nuova di Primavera (tra fine Marzo e Aprile). I riti religiosi della settimana santa, sono celebrati con solennità in tutte le chiese del mondo cristiano.

Culmine della nostra vita e di tutta la storia umana
Nella tragedia della Passione culminano la nostra vita e tutta la storia umana. La Settimana Santa non può ridursi a una mera commemorazione: è la meditazione del mistero di Gesù Cristo che continua nelle nostre anime.

Il cristiano è chiamato ad essere alter Christus, ipse Christus. Noi tutti, con il Battesimo, siamo stati costituiti sacerdoti della nostra stessa esistenza per offrire vittime spirituali, ben accette a Dio per mezzo di Gesù Cristo per compiere ciascuna delle nostre azioni in spirito di obbedienza alla volontà di Dio, perpetuando così la Missione dell'Uomo-Dio.

Questa realtà, per contrasto, ci fa pensare alle nostre miserie, ai nostri errori personali. Ma questa considerazione non ci deve scoraggiare, né indurre all'atteggiamento scettico di chi ha rinunciato ai grandi ideali. Il Signore ci vuole per se e, così come siamo, vuole renderci partecipi della sua vita, e ci chiede di lottare per essere santi. La santità: quante volte pronunciamo questa parola come se fosse priva di senso! Molti la considerano addirittura come un traguardo irraggiungibile, un luogo comune
della letteratura ascetica, non un fine concreto, una realtà viva. Non la pensavano così i primi cristiani, che usavano il nome di "santo" per chiamarsi fra loro, molto spesso e con la massima naturalezza: Vi salutano tutti i santi; salutate tutti i santi in Cristo Gesù (Fil, 4, 21).
Di fronte al CalvarioOra, di fronte al Calvario, quando Gesù è morto e non si è ancora manifestata la gloria del suo trionfo, è il momento di esaminare i nostri desideri di vita cristiana, di santità; è il momento buono per riconoscere le nostre debolezze, e reagire con un atto di fede, confidando nel potere di Dio e facendo il proposito di vivificare con l'amore le cose della nostra giornata. L'esperienza del peccato ci deve condurre al dolore, a una decisione più matura, più profonda, di fedeltà, di vera identificazione con Cristo, di perseveranza ad ogni costo nella missione sacerdotale che Egli ha affidato a tutti i suoi discepoli senza eccezione, e che ci stimola a essere sale e luce del mondo.
E’ Gesù che passa, 96

Simbolo della Redenzione, simbolo della paceNon dobbiamo dimenticarlo: in tutte le attività umane, ci devono essere uomini e donne con la Croce di Cristo nelle loro vite e nelle loro opere, innalzata, visibile, riparatrice; simbolo della pace, della gioia; simbolo della Redenzione, dell'unità del genere umano, dell'amore che Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, la Trinità Beatissima, ha avuto e continua ad avere per l'umanità.
Solco, 985

Meditare sulla morte di CristoIl meditare sulla morte di Cristo diventa allora un invito ad affrontare con assoluta sincerità i nostri impegni quotidiani, un invito a prendere sul serio la fede che professiamo. Per cui la Settimana Santa non può essere soltanto una parentesi sacra nel contesto di una vita guidata da interessi umani: è invece un'occasione per introdurci con maggiore profondità nel mistero dell'Amore di Dio e poterlo poi mostrare agli uomini con la parola e con l'esempio. (…)
La vita, l'anima stessa, ecco ciò che ci chiede il Signore. Se siamo fatui, se ci preoccupiamo solamente della nostra personale comodità, se facciamo di noi stessi il centro dell'esistenza degli altri e del mondo, non abbiamo il diritto di chiamarci cristiani, discepoli di Cristo. Ci vuole una donazione che si dimostri con la verità dei fatti, non soltanto a parole. L'amore di Dio ci invita a prendere con decisione la croce, sentendo anche su di noi il peso dell'umanità tutta e realizzando, nelle circostanze proprie della condizione e del lavoro di ciascuno, i propositi chiari e amorosi della volontà del Padre. Infatti, nel passo che stiamo commentando, Gesù dice ancora: Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo (Lc, 14, 27)
Accettiamo senza timore la volontà di Dio, decidiamoci senza esitazione a edificare la nostra vita secondo gli insegnamenti e le esigenze della fede. Andremo sicuramente incontro a difficoltà, sofferenze, dolori; ma se veramente possediamo la fede non ci considereremo mai degli infelici: anche tra le pene e le calunnie saremo felici, di una felicità che ci spingerà ad amare gli altri per renderli partecipi della nostra gioia soprannaturale.
E’ Gesù che passa, 97
Josè Marìa Escrivà

domenica 27 maggio 2012

Oh Padre...

Ti benedico o Padre,
all’inizio di questo nuovo giorno.
Accogli la mia lode e il mio grazie per il dono della vita e della fede.
Con la forza del tuo Spirito guida i miei progetti e le mie azioni: fa che siano secondo la tua volontà. Liberami dallo scoraggiamento davanti alle difficoltà e da ogni male.
Rendimi attento alle esigenze degli altri.
Proteggi con il tuo amore la mia famiglia.
Così sia.

mercoledì 30 novembre 2011

Sant'Andrea apostolo

(Bethsaida di Galilea - Patrasso (Grecia), ca. 60 dopo Cristo).
Andrea, già discepolo di Giovanni Battista, fratello di Pietro, gli comunicò la scoperta del Messia. Entrambi furono chiamati dal Maestro sulle rive del lago per diventare 'pescatori di uomini'. Nel prodigio della moltiplicazione dei pani segnala a Gesù il fanciullo dei cinque pani e dei due pesci. Egli stesso insieme a Filippo riferisce che alcuni Greci vogliono vedere Gesù. Crocifisso a Patrasso secondo la tradizione, è particolarmente venerato nella Chiesa greca.
Tra gli apostoli è il primo che incontriamo nei Vangeli: il pescatore Andrea, nato a Bethsaida di Galilea, fratello di Simon Pietro. Il Vangelo di Giovanni (cap. 1) ce lo mostra con un amico mentre segue la predicazione del Battista; il quale, vedendo passare Gesù da lui battezzato il giorno prima, esclama: "Ecco l’agnello di Dio!". Parole che immediatamente spingono Andrea e il suo amico verso Gesù: lo raggiungono, gli parlano e Andrea corre poi a informare il fratello: "Abbiamo trovato il Messia!". Poco dopo, ecco pure Simone davanti a Gesù; il quale "fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa”". Questa è la presentazione. Poi viene la chiamata. I due fratelli sono tornati al loro lavoro di pescatori sul “mare di Galilea”: ma lasciano tutto di colpo quando arriva Gesù e dice: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" (Matteo 4,18-20).
Troviamo poi Andrea nel gruppetto – con Pietro, Giacomo e Giovanni – che sul monte degli Ulivi, “in disparte”, interroga Gesù sui segni degli ultimi tempi: e la risposta è nota come il “discorso escatologico” del Signore, che insegna come ci si deve preparare alla venuta del Figlio dell’Uomo "con grande potenza e gloria" (Marco 13). Infine, il nome di Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con quelli degli altri apostoli diretti a Gerusalemme dopo l’Ascensione.
E poi la Scrittura non dice altro di lui, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, ossia non canonici. Uno di questi, del II secolo, pubblicato nel 1740 da L.A. Muratori, afferma che Andrea ha incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. E un testo copto contiene questa benedizione di Gesù ad Andrea: "Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen". Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predica il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guida i cristiani di Patrasso. E qui subisce il martirio per crocifissione: appeso con funi a testa in giù, secondo una tradizione, a una croce in forma di X; quella detta poi “croce di Sant’Andrea”. Questo accade intorno all’anno 60, un 30 novembre.
Nel 357 i suoi resti vengono portati a Costantinopoli; ma il capo, tranne un frammento, resta a Patrasso. Nel 1206, durante l’occupazione di Costantinopoli (quarta crociata) il legato pontificio cardinale Capuano, di Amalfi, trasferisce quelle reliquie in Italia. E nel 1208 gli amalfitani le accolgono solennemente nella cripta del loro Duomo. Quando nel 1460 i Turchi invadono la Grecia, il capo dell’Apostolo viene portato da Patrasso a Roma, dove sarà custodito in San Pietro per cinque secoli. Ossia fino a quando il papa Paolo VI, nel 1964, farà restituire la reliquia alla Chiesa di Patrasso.